Road to Eytc & Etc 2018 – Anno 2002: Mondiale di Loughborough
18 Aprile 2018
Il nostro percorso attraverso la storia della nazionale italiana di tchoukball ci porta a Loughborough, per il mondiale del 2002. Simone Garbelli e Diego Carugati ci racconteranno le loro impressioni sull’evento: due grandi giocatori del tchoukball italiano da cui ancora possiamo imparare molto (soprattutto sullo spirito del nostro sport!)
Allenatori: Giuliano Balloni e Chiara Volonté
Giocatori: Alberto Provolo, Andrea Lanza, Dario Oliva, Davide Giuffrida, Diego Carugati, Francesco Scartozzi, Gabriele Gelso, Giacomo Zinetti, Giorgio Biondi, Giuliano Balloni, Luca Lamperti, Paolo Azzolina, Paolo Paccotti, Simone Garbelli
Raccontaci in breve l’evento: quali erano le squadre più temute e quelle con cui non vedevi l’ora di giocare, quale era l’obiettivo della rappresentativa italiana e quale il tuo obiettivo personale.
Diego Carugati:
Il Brasile era la squadra a noi più vicina come livello di gioco per cui era la più temuta. Le più attese erano forse il Giappone e il Canada che erano una novità assoluta per noi (per il Giappone fu la prima e unica volta che capitò sul nostro cammino).
Quanto a Taiwan, Inghilterra e Svizzera sapevamo bene che non erano alla nostra portata. Da loro si poteva solo imparare.
Il nostro obiettivo era collocarci subito dietro i 3 mostri sacri ripetendo l’impresa di Ginevra 2000.
Personalmente mi sentivo il leader della squadra e volevo esserne il trascinatore anche perché nella squadra Brandt femminile (composta da Italia, Giappone e Canada se non ricordo male) giocava anche Francesca Pozzoli, la mia ex fidanzata, e non potevo certo sfigurare…
Simone Garbelli:
Non saprei bene rispondere alla prima parte della domanda. Io ero uno degli ultimi arrivati e non conoscevo minimamente le altre squadre. Avevo solo qualche idea vaga: sapevo che taiwanesi erano mostruosi, gli svizzeri erano molto bravi (li avevamo incontrati qualche mese prima a Tenero, in Canton Ticino) e che gli inglesi tiravano fortissimo. Personalmente ero interessato al clima generale dell’evento, a conoscere ragazzi di altre nazioni… era anche il mio primo viaggio senza i miei genitori!
Quale è stata la strada che ha portato alla tua convocazione?
Simone Garbelli:
Diciamo che ai tempi era più facile entrare in nazionale che non entrarci: eravamo in pochi a praticare lo sport e la nazionale italiana era quindi formata principalmente da ragazzi di Saronno e dintorni (più tre ragazzi di Latina). Io avevo iniziato da neanche un anno, ma ero riuscito a migliorare molto e quindi mi era stato chiesto se volevo partecipare al mondiale in Inghilterra.
Come era il rapporto con gli allenatori e con i ragazzi che hanno condiviso con te l’esperienza durante la preparazione per l’evento?
Diego Carugati:
Il rapporto era ottimo con tutti, più familiare ancora di quello di oggi che è comunque molto improntato ai rapporti personali anche fuori dal campo. Allenava Chiara che era anche la prof e un po’ mamma. Ci metteva l’anima anche se anche lei pagava delle carenze tecniche di sarebbero poi colmate di lì a 10 anni. Tutto sommato si è riusciti ad integrare abbastanza anche i 3 ragazzi di Latina (all’epoca c’era una scuola superiore che promuoveva il TB) benché fossero abbastanza spacconi e poco inclini allo spirito del tchoukball come lo intendiamo noi.
Quale è stata la partita che ti è rimasta in assoluto più impressa? Raccontacela!
Simone Garbelli:
In realtà non ho giocato molte partite al mondiale, ma mi ricordo benissimo di quella con i taiwanesi. In quella partita ero un centrale laterale (ai tempi si giocava in 9 sul campo grande) e vedevo palloni schizzare da una parte all’altra del campo a velocità supersoniche. Ero scioccato!
Diego Carugati:
Quella col Brasile. Fu molto combattuta e la perdemmo con onore nonostante i troppi errori. Io feci una bella prestazione ed anche un punto facendo un tiro back da destra (all’epoca era considerato fantascienza) per questo la ricordo con piacere. Di quella partita è rimasta anche una bella istantanea di un mio passaggio in volo a Giko (giocavamo insieme a pannello, io a destra e lui a sinistra) che sta per scagliare la palla da altezza folle mentre la difesa a 4 del Brasile corre a coprire.
Ti ricordi un aneddoto divertente di quel mondiale?
Simone Garbelli:
In una partita, non ricordo neanche quale fosse l’altra squadra, dopo un passaggio che aveva attraversato il campo, l’attaccante aveva fatto un Lob alto e lento (di quelli che finiscono a centrocampo, vicino alla linea laterale). Io ero in prima linea, ma avevo intuito le sue intenzioni e avevo iniziato a correre per prendere il pallone in seconda linea. Allo stesso tempo il mio compagno (Simo-simo), centrale laterale, aveva gli occhi fissi sulla palla e stava scattando per recuperarla. Nessuno dei due l’ha chiamata e ci siamo scontrati al centro del campo, come nei cartoni animati. (Ah… ovviamente la palla è caduta!)
Cosa ha significato per te far parte della nazionale italiana? Cosa credi ti abbia lasciato questa esperienza?
Diego Carugati:
Tutte le volte è stato per me un onore immenso. Una di quelle cose che sai di voler raccontare ai tuoi figli ma temi di non avere le parole giuste per farlo. Solo chi come me si commuove vedendo l’Italia vincere alle Olimpiadi può capire cosa si possa provare ad essere dall’altra parte e provarci anche se è per uno sport poco conosciuto e che alle Olimpiadi non ci è mai andato. Da quelle esperienze sono maturato come uomo e ho capito l’importanza di impegnarsi per costruire qualcosa di bello per se e per gli altri perché le opportunità vanno costruite e non aspettare che ti vengano servite sul piatto d’argento.
C’è un giocatore di un’altra nazionale con cui hai particolarmente legato?
Simone Garbelli:
Ai tempi le mie conoscenze di inglese erano particolarmente scarse, quindi, nonostante ci provassi, legare con giocatori di altre squadre era abbastanza difficile. Diciamo però che gli ultimi giorni era stato organizzato un mondialino under 18 ed era stata creata ad hoc una squadra che riuniva i giovani italiani e svizzeri. Ci siamo conosciuti un po’ (a gesti) ed è stato un bel momento (e siamo anche arrivati secondi, dopo gli inarrivabili taiwanesi).
Sei soddisfatto del tuo lavoro e del risultato della tua squadra, soprattutto nelle fasi finali?
Diego Carugati:
Riferito a quel mondiale ovviamente no visto che perdemmo tutte le partite, eravamo più forti che nel 2000 ma gli altri erano progrediti di più e rimanemmo spiazzati. Ci rimanemmo male ma credo che imparammo la lezione perché già a Rimini 2003 le cose andarono meglio.
Quale pensi fosse (o sia) lo scopo della nazionale in uno sport minore come il Tchoukball?
Diego Carugati:
La nazionale per me è una fucina di entusiasmo. Chi vive l’esperienza della maglia azzurra torna trasformato e deve riuscire a trasmettere il suo entusiasmo ed il bagaglio tecnico acquisito agli altri giocatori ed alle persone che potrebbero avvicinarsi al tchoukball. Ovviamente vincere amplifica l’effetto entusiasmo in tutto il movimento, ma anche una sconfitta rimediata mettendo tutto quello che avevi in campo può sortire lo stesso effetto.
Simone Garbelli:
Sicuramente ai tempi l’idea di nazionale era diverso da quello che c’è ora… c’era sì la parte di competizione, di voglia di vincere e di fare bene, ma la componente di rispetto e di voglia di stare insieme era molto più preponderante. Penso che la nazionale dovrebbe essere un modello per le squadre del campionato e che sia composta da giocatori che non puntano a vincere, ma ad essere i migliori interpreti della carta del Tchoukball.