Road to Etc and Eytc 2018 – Anno 2000: Mondiale di Ginevra
11 Aprile 2018
Grande attesa per L’European Tchoukball Championship e L’European Youth Tchoukball Championship che si svolgeranno quest’estate a Castellanza, in provincia di Varese.
Il percorso che ha portato i nostri giocatori a questo evento è però cominciato molti anni fa, quando la nazionale era agli albori e in Italia si sentivano solo poche voci che parlavano di tchoukball.
Nelle prossime settimane proveremo a ripercorrere questo percorso, per capire come è cambiata la Nazionale di Tchoukball negli anni dando voce a chi ne è stato protagonista.
Il primo passo lo svolgiamo grazie a Gabriele Gelso e Davide Giuffrida, che ci racconteranno la loro esperienza al Mondiale di Ginevra del 2000!
Allenatori: Chiara Volonté e Jorge Maier
Giocatori: Daniele Paccagnan, Dario Oliva, Davide Giuffrida, Diego Carugati, Fabrizio Dambra, Franco Rivolta, Gabriele Gelso, Giuliano Balloni, Guido Bernasconi, Jorge Maier, Lorenzo Ferrario, Luca Lamperti, Luciano Carnelli, Vittorio Allievi
Raccontaci in breve l’evento: quali erano le squadre più temute e quelle con cui non vedevi l’ora di giocare, quale era l’obiettivo della rappresentativa italiana e quale il tuo obiettivo personale.
Gabriele Gelso:
Nel 2000, la prima apparizione italiana ai mondiali di Ginevra, non c’era stata molta preparazione dal punto di vista atletico e tattico: i componenti del team erano in parte adulti in quegli anni tra i più attivi nella diffusione del tchoukball in Italia e in parte giocatori alle prime armi con solo qualche torneo alle spalle. Più che frutto di una selezione, la squadra titolare era passata da un conteggio volto a verificare il raggiungimento dei numeri necessari per presentarsi: io ad esempio avevo visto per la prima volta il pannello meno di 12 mesi prima eppure ero tra i “convocati”. L’obiettivo in quel caso era soltanto esserci: quello è stato il vero successo. Inoltre, anche se nei tornei si scendeva in campo in 7 e le dimensioni del terreno di gioco erano quelle del basket, per gli eventi nazionali si giocava ancora in 9 e su campo decisamente più grande. Nonostante tutto abbiamo vinto pur con fatica 2 partite e lasciato alle nostre spalle Francia e Brasile nella classifica finale.
Davide Giuffrida:
Ho avuto la possibilità di partecipare al mondiale di Ginevra nel 2000, un mondiale davvero importante per la storia del Tchoukball. Finalmente dopo10 anni dall’ultima edizione, giocata a Portsmouth, le nazioni dove il nostro sport si era diffuso potevano rincontrarsi.
E quell’anno c’era anche una piccola novità…tutta azzurra!
Ogni nazionale che incontravamo era per noi fonte di ispirazione e tutti i giocatori e gli allenatori ci riservavano sempre consigli preziosi. Inoltre anche a noi italiani era finalmente “concesso” di veder giocare gli atleti di Taiwan; potevamo ammirare il loro gioco e stupirci delle loro acrobazie e delle traiettorie impensabili dei loro tiri. E tutto questo lo potevamo vedere non solo dagli spalti ma addirittura condividendo lo stesso campo di gioco.
Il nostro obiettivo non poteva non essere quello di imparare il più possibile godendoci la spensieratezza di essere degli “esordienti”…e con questo entusiasmo riuscimmo anche a vincere con Francia e Brasile.
Come era il rapporto con gli allenatori e con i ragazzi che hanno condiviso con te l’esperienza durante la preparazione per l’evento?
Gabriele Gelso:
Il rapporto è sempre stato di amicizia e ci si è sempre prima di tutto divertiti assieme. Un po’ di sana competitività ha poi di certo aiutato a condividere obiettivi comuni e nel puntare uniti a risultati sempre più sfidanti.
Inoltre con alcune persone è stato possibile allargare l’amicizia anche fuori dal campo di gioco, come ad esempio con Diego Carugati e Lorenzo Ferrario, anche loro presenti al primo mondiale del 2000 a Ginevra, ma anche con Simone Garbelli e Stefano Barabani, che si sono accostati appena successivamente al mondo del tchoukball.
Quale è stata la partita che ti è rimasta in assoluto più impressa? Raccontacela!
Davide Giuffrida:
La partita con il Brasile. Eravamo riusciti in precedenza a vincere di un punto con la Francia e questo aveva tramutato il timore di essere solamente gli “ultimi arrivati” in fiducia in noi stessi. Con il Brasile entrammo in campo con una grandissima voglia di giocare, di vivere a pieno quell’esperienza e i Brasiliani, indubbiamente più abili di noi nel gioco, rimasero come “storditi”. Non capivano da dove venisse tutto quel nostro entusiasmo che tipicamente mettono loro in campo e riuscimmo a vincere nuovamente.
Ti ricordi un aneddoto divertente di quel mondiale?
Davide Giuffrida:
Tutti erano estremamente contenti di essere lì e si percepiva che quello era un evento che avrebbe cambiato la storia del nostro giovane sport. Allora iniziò una vera caccia al “cimelio”, ognuno voleva portarsi a casa qualcosa, scambiarsi maglie e gadget con gli altri giocatori, richiedere autografi. Per diversi anni il poster del mondiale che riuscì a portar via con me, con su scritto “DECOUVREZ” – scoprite – , rimase appeso in camera mia.
Cosa ha significato per te far parte della nazionale italiana? Cosa credi ti abbia lasciato questa esperienza?
Gabriele Gelso:
Far parte di una nazionale non è un qualcosa che capita proprio a tutti. Certo, quando lo si raccontava, l’orgoglio di indossare la maglia azzurra si mischiava sempre alla ragionevole ammissione di una selezione facile da superare e all’imbarazzo per il riferimento ad uno sport poco conosciuto e dal nome impronunciabile.
A qualche anno di distanza, però, resta una bellissima esperienza, utile da tanti punti di vista: ha rappresentato una crescita dal punto di vista umano, così come spesso accade quando ci si accosta con continuità ad uno sport; è stato anche un contesto di amicizia e di impegno, con l’obiettivo comune di far conoscere a molti questo bellissimo sport e i valori che lo contraddistinguono rispetto a contesti maggiormente illuminati dai riflettori; oggi è anche un bel ricordo e qualcosa che potrò raccontare con fierezza alle mie figlie.
Davide Giuffrida:
Ho potuto giocare con la nazionale italiana 2 mondiali ed 1 europeo e ho cercato di vivere ciò con senso di responsabilità e di amicizia. La nazionale era infatti la testimonianza di come si possa vivere realmente quello che la Carta del Tchoukball ci ricorda.
Inoltre questi eventi erano per me una fonte di energia da riversare nell’attività quotidiana di diffusione del Tchoukball.
Quale parola useresti per descrivere la tua esperienza e perché?
Gabriele Gelso:
Leggendaria.
Sembra un po’ esagerato – e sicuramente lo è – ma fa il paio con il soprannome che mi è stato attribuito dai tchoukers che giocavano ai tempi dei miei ultimi anni da giocatore: “il giocatore leggendario”. Forse è perché ho iniziato tra i primissimi e i racconti con pochi testimoni riferiti ai tempi andati si tingono sempre di mistero e leggenda. Non credo di meritarlo, ma tant’è.
Forse mi si addice di più l’altro soprannome che portavo nell’ambiente: quello di “nonno Lele”. Questo era forse anche più legato al giro della nazionale, sebbene ci fossero altri veterani, come Diego, in squadra.
Quello che però conta è che entrambi i soprannomi sono sempre stati carichi di affetto ed è perciò che è sicuramente valsa la pena di vivere questa lunga esperienza nel tchoukball ad organizzare dimostrazioni e disputare tornei, a fondare nuove squadre (Limbiate e Gerenzano) e a contribuire in qualche modo all’avvio di un campionato italiano.
C’è un giocatore di un’altra nazionale con cui hai particolarmente legato?
Davide Giuffrida:
Più che un giocatore mi permetto di ricordare 3 persone fondamentali: Charles Tschachtli, allora segretario generale della FITB, Marthe, sua moglie, e Michel Favre, allora presidente della FITB. Tramite loro ho potuto capire i valori fondanti e insostituibili del Tchoukball.
Sei soddisfatto del tuo lavoro e del risultato della tua squadra, soprattutto nelle fasi finali?
Gabriele Gelso:
Le soddisfazioni sportive non sono state poi troppe nella mia esperienza di tchouker, sia in nazionale, sia in campionato. Forse qualcosa in più nei tornei.
Ad ogni modo non sono mancati alcuni buoni traguardi raggiunti: a livello nazionale sicuramente l’insperato 4° posto del 2000, con una formazione poco competitiva, e la prima vittoria di sempre sugli svizzeri ad Usti 2008.
La soddisfazione del buon lavoro fatto, invece, non è mai mancata, in ogni contesto. Quando ci si impegna molto brucia sempre non portare a casa la vittoria, ma se almeno si fa il proprio gioco in maniera ordinata ed efficace, la soddisfazione di aver dato il massimo non manca mai.
Quale pensi fosse (o sia) lo scopo della nazionale in uno sport minore come il Tchoukball?
Davide Giuffrida:
Più la nazionale sarà capace di mostrare la bellezza e la straordinarietà del Tchoukball, sia negli aspetti tecnici che in quelli etici, più il nostro sport “minore” riuscirà a far appassionare altre persone. Lo ritengo uno strumento prezioso.
Gabriele Gelso:
Ho sempre pensato che la nazionale, anche quella di uno sport minore, debba rappresentare un obiettivo alto e quindi uno stimolo a migliorarsi per tutti i giocatori italiani.
Inoltre, l’avere un contesto di nazionale italiana può rappresentare anche l’opportunità di ottenere un maggior risalto mediatico e quindi sostenere le attività di diffusione.
C’è poi uno scopo dal perimetro più contenuto, ma per me che l’ho sperimentato molto importante, che è legato alla possibilità offerta ad un gruppetto di ragazzi che se lo meritano, di vivere un’esperienza indimenticabile a rappresentanza – nel piccolo del proprio sport – dell’intera nazione.